Palermo, 400mila euro finanziati dal Ministero della Salute per tre ricercatrici di Palermo

Da “La Repubblica” del 2 gennaio 2018
Riportiamo il testo del servizio

Tre ricercatrici del Policlinico Paolo Giaccone dell’Università di Palermo portano in Sicilia un altro importante successo: un finanziamento di ben 400 mila euro per avviare un progetto di studi triennale dal titolo ““Il ruolo degli sferoidi umani da cellule staminali di tessuto adiposo negli allotrapianti di arto: possono prevenire il rigetto?”.

Ad avere ottenuto l’importante finanziamento da parte del Ministero della Salute sono state le tre giovani ricercatrici del policlinico universitario Serena Meraviglia (immunologa), Francesca Toia (chirurgo plastico) e Anna Barbara Di Stefano (biologa). Unico in Sicilia per la categoria, il team di giovani ricercatrici ha superato la selezione partecipando al bando con cui il Ministero chiedeva di sviluppare procedure altamente innovative e nuove conoscenze utili al miglioramento delle opportunità di prevenzione, diagnosi, trattamento e riabilitazione.

Il gruppo palermitano ha preso spunto dal fatto che, oggi, il principale limite alla diffusione degli allotrapianti di tessuti composti (cioè di più tessuti insieme, cute, muscolo, osso, cosi come nei trapianti di faccia o arti) è il fatto che le terapie immunosoppressive – che devono essere assunte a vita – espongono al rischio di tumori e riducono l’aspettativa di vita per insorgenza di diabete e di altre patologie. Le cellule staminali da tessuto adiposo sembrano invece avere la capacità di regolare il sistema immune, anche se ci sono ancora pochi studi non clinici e singoli pazienti trattati. Questa proprietà potrebbe essere usata per ridurre l’impiego di farmaci immunosoppressori. Il gruppo dell’Università di Palermo da anni coltiva cellule staminali da adiposo “in sospensione”, modalità poco studiata, ma che sembra fornire cellule più performanti. Il progetto prevede una fase in vitro e una in vivo su topi per studiare le proprietà immunomodulatorie di queste cellule e fornire le basi per eventuali successivi studi clinici.

Tratto da “La Repubblica” del 2 gennaio 2018